Sabato, ore 8:00.

E’ l’ora giusta, in inverno, per una passeggiata nel bosco.

In Appennino, a Febbraio, a quell’ora quasi tutti quelli che possono stanno ancora dormendo o, nella migliore delle ipotesi, si sono appena alzati e, lentamente, pigramente, si aggirano per casa. Gli altri stanno andando al lavoro o a scuola. Pochi, pochissimi, sono già sul sentiero; dunque, se sei fra questi, sei sostanzialmente solo.

Silenzio.

O quasi: i primi cinguettii, che il sole comincia a fare capolino da dietro la collina e il bosco comincia a risvegliarsi. Il più rumoroso, comunque, rimani tu. Gli scarponi scricchiolano sulle foglie ghiacciate, o, se già scongelate dai primi raggi di sole, le fanno frusciare. Le braccia accompagnano i passi, avanti e indietro e le maniche strisciano sui fianchi. Un rumore lieve, trascurabile in città: qui, quasi un frastuono.

Speri comunque di non essere di disturbo ai legittimi padroni di casa: volpi, tassi, caprioli, falchi e forse, chissà, cervi e lupi. Forse, se non fai troppo rumore (e odore) potresti anche riuscire a vedere i più ritardatari, quelli che ancora non si sono addentrati nel fitto del bosco, lontano dai sentieri, prima dell’arrivo del giorno e, con lui, dei minacciosi umani e dei loro caotici traffici.

E infatti, vicino ad un laghetto, scorgi tre caprioli che attraversano il sentiero, balzando tra i rami, allarmati dalla tua presenza. Scopri che non sono affatto animali silenziosi, i loro balzi provocano sordi rimbombi sul terreno, i loro corpi spostano e spezzano i rami, rivelandone la presenza. E poi latrano, non li avevi mai sentiti.

Ne ammiri l’eleganza, ti fermi, immobile, sperando che si lascino osservare. Realizzi che se fossero stati fermi, tra i rami, probabilmente non li avresti nemmeno visti, non ti saresti accorto della loro presenza.

La luce del mattino è fantastica, calda; il sole è basso, i raggi colpiscono, radenti, la vegetazione che riposa, in attesa della primavera. E allora scatti, che ti sei portato la reflex, ma anche l’otturatore fa rumore e ti sembra di disturbare.

Scopri che ne è valsa la pena. E sabato si replica.

Doppie esposizioni

L’altra sera mi è venuta in mente la mia Fujifilm Instax SQ10. Non la uso spesso, ma quando lo faccio di solito mi diverto. Mia figlia, nemmeno 5 anni, la chiama “la macchina furbina”, per via del fatto che la foto esce subito, stile Polaroid.

E così l’altra sera l’ho tirata fuori e ci siamo dati alle doppie esposizioni. La trovo una tecnica estremamente creativa, che ho una gran voglia di esplorare maggiormente. Anche e soprattutto con le analogiche, che ti costringono a pensare allo scatto prima e ad attendere per vedere cosa ne è uscito.

Di seguito le istantanee Fujifilm.

La SQ10 consente alcune azioni di postproduzione prima della stampa; abbiamo scelto il bianco e nero, ci sembrava più d’effetto.

Che ve ne pare?

Nel silenzio del bosco

Sabato pomeriggio, il sole vince prepotentemente sulle nubi.

E’ un peccato stare in casa, anche se non manca molto al tramonto, in questa stagione viene sera presto.

Mi precipito fuori, solo, un’oretta nel bosco, macchina fotografica al collo. Scelgo una lente fissa, 50 mm, sarà divertente. Magari, nel silenzio della solitudine, incontro anche qualche animaletto.

Imbocco il sentiero, è largo, infangato ma praticabile, deserto. Non incontro anima viva. Il sole c’è ancora, ma sta tramontando. C’è anche già la Luna. Il cielo è sgombro di nuvole, eccetto a ovest. A un certo punto il paesaggio si apre: verso l’appennino, la vista è magnifica. Verso la pianura padana anche: il cielo limpido consente di scorgere le Alpi imbiancate, oltre le terre piatte.

Fatico scarpinando, gli scarponi sempre più sporchi di terra. Il sole scende rapidamente, si alza un po’ di vento freddo, ma ho quasi chiuso l’anello.

Nessun animale a farsi fotografare. Peccato, sarà per la prossima.

Dopo la nevicata

Serramazzoni, provincia di Modena, Italia.

Poco meno di 800 metri di quota. Montagna ma non troppo. Il balcone sulla pianura modenese, la chiamavano, per via del fatto che dai suoi colli si vede, piatta come un tagliere, la pianura emiliana. E quando è limpido, dall’altra parte, si scorgono le Prealpi.

Siamo qui per passare i primi giorni dell’anno, dal 10 si tornerà in città. Si spera che nevichi, per uscire a passeggiare e magari fare anche qualche discesina col bob, che son tipo trent’anni che non uso.

E stamani apro gli occhi, sguardo fuori e… è tutto bianco!

E allora colazione rapida e via a passeggiare, che nevica ancora, tra l’altro. Neve a terra? Secondo me 7-8 cm, secondo la mia bimba 5enne 1 km. Dunque va bene così.

Dopo la nevicata, torna il sereno, o quasi. E ci sta qualche scatto dal balcone, per fissare un paesaggio che solo d’inverno.

Meglio colori o bianco e nero?

Tre Cime…con l’anello intorno

E’ da qualche anno che cerchiamo di ricavare qualche giorno per passare un po’ di tempo in montagna, a camminare, d’estate. Quest’anno, con la bimba piccola, non se n’è parlato, anche perchè, diciamocelo, non è che fossimo proprio degli atleti irreprensibili. Cioè, non siamo mica quelli che partono alle 7 del mattino, arrivano in rifugio dopo 11 ore di cammino, e il giorno dopo via di nuovo. Magari eh, lo dico con invidia.

No, noi siamo quelli che dicono che partono presto la mattina, ma alla fine sono sul sentiero mai prima delle 9… che prima c’è la colazione a buffet in hotel. E prima ancora si dorme, siamo in vacanza, eccheccaspita.

Comunque mi è tornato alla mente un sentiero che riuscimmo a completare anche noi, e – arrivo a dire – in scioltezza. Il giro delle Tre Cime di Lavaredo.

Siamo in Cadore, provincia di Belluno, Veneto: si parte dal rifugio Auronzo, si gira intorno, incontrando un paio di altri rifugi, si torna all’Auronzo. Le indicazioni parlano di 3,5 ore, noi ce ne abbiamo messe tipo 5. Mangiondo in mezzo, però. E tanto, e bene,

L’ambiente è magnifico, la camminata è adatta a tutti. Ma proprio a tutti, infatti è pienopienopieno di gente, specialmente il primo tratto.

Ma ne vale la pena, assoluta meraviglia. Un assaggio? La foto che segue.

 

tre-cime-bianco-e-nero

monochrome sunset

Le nuvole nascondono il sole durante un tramonto estivo sugli Appennini emiliani. Esce solo un tripudio di raggi di luce, ma nel controsole i colori mal si distinguono. Lontano, lo sferragliare di vecchi trattori e il rombo di automobili che sfrecciano sulla superstrada. Per fortuna, i rumori della (in)civiltà vengono quasi coperti dal frinire delle cicale. Il laghetto riflette la luce del cielo, le sue acque sono immobili. Pare un’enorme specchio.

La quiete avvolge la vallata.

Periodi

Ci sono Periodi e Periodi.

Durante i Periodi, tutto ti sembra andare liscio. La tua vita scorre tra risultati che raggiungi, amici ritrovati, soddisfazioni una dopo l’altra, risate, brindisi, scondinzolii di gioia e festeggiamenti.

Poi arrivano i Periodi, e tutto cambia. Improvvisamente, niente gira più. E allora giù di frustrazione, tensioni, emicranie, lacrime. Sembra tutto da rifare. E’ in questi momenti che hai un viscerale bisogno di silenzio.

E allora cammini, ti guardi intorno, ascolti, annusi, pensi…anzi no, che hai bisogno anche di silenzio della mente. Non pensi neanche. Cammini, ti lasci alle spalle scorci, cose, case, persone. Sai che le ritroverai, ma oggi no, sospendi la tua presenza nel mondo.

Standby. Pausa.

Quiete.

Silenzio.

Lago del TUrano, RIeti, Italia.
Lago del Turano, RIeti, Italia.

Una vespa per compagna di viaggio

Se c’è una cosa che proprio non mi piace della mia terra, è il clima estivo. Non ce l’ho col caldo di per sè: mi piace la comodità di vestirsi poco, il sole e la gioia che trasmette, le giornate lunghe e l’abbronzatura. Per carità. Ma in Emilia il caldo va un po’ oltre: si chiama afa. E si legge sudore, appiccicaticcio, pressione bassa, insonnia, canicola.

Quindi quando oggi sono uscito dall’ufficio, alle 14, il mio pensiero predominante era arrivare a casa, chiudercisi, per fuggire al sole filtrato da mille strati di cappa umida e inquinata. Dunque non ho molto badato a quella che sarebbe diventata la mia compagna di viaggio per circa mezz’ora: una vespa.

Che, attenzione, non era dentro all’abitacolo: era sul parabrezza. Nel centro preciso, che sembrava che avesse scelto di mettersi proprio lì dopo aver tracciato le diagonali e stabilito dove s’incrociavano.

La vespa, fotografata dall'interno dell'auto. Lei, impassibile, come una modella consumata.
La vespa, fotografata dall’interno dell’auto. Lei, impassibile, come una modella consumata.

Poi parto, che anche dentro l’auto si muore di caldo, anzi più che fuori, sebbene fosse parcheggiata all’ombra. Accendi il climatizzatore, che non basta abbassare i finestrini (e poi è bene che ciò che è fuori ci rimanga), e via, la vespa presto volerà via, probabilmente alle prime vibrazioni dell’auto.

E invece proprio no. Rimane lì. Anche quando l’auto comincia a muoversi in avanti. Anche dopo la prima curva, è lì. Non si muove, per nulla intimorita dal movimento. Ma con la velocità la difficoltà aumenta, il vento si rinforza, mica facile restare attaccati. E poi perchè intesatardirsi? Hai le ali, vola! Perchè vuoi venire con me per forza?

E invece non c’è verso, resta lì. Si puntella con le sei zampette, la metà inferiore del corpo che fa da vela, in preda al vento, per non parlare delle ali, che sbattono freneticamente agitate dall’aria, che aumenta con la velocità, 50, 60 e poi 80 e anche 100. E’ tanta l’aria a 100 chilometri orari, ma lei è lì. E non si sposta di un millimetro.

Chi ha fatto la foto? Bhè, diciamo così: ero solo, in auto.
Chi ha fatto la foto? Bhè, diciamo così: ero solo, in auto.

L’ultima parte del tragitto che mi porta a casa è quello in cui si va più veloci. Sicuramente lì non resisterà! Ma invece mi frega: non ci arriva, alla tangenziale. Dopo mezz’ora di reistenza estenuante, mentre sono fermo ad una rotatoria, abbasso lo sguardo per preparare di nuovo la macchina fotografica. Quando rialzo gli occhi, pronto a scattare, non c’è più. Ha deciso di andarsene, è arrivata a destinazione.

Neanche il tempo per un ciao.

Milano EXPO 2015 – Terzo round

Ancora un po’ di immagini dall’EXPO.

Padiglione Azerbaijan (sì, lo ammetto: ho dovuto aprire Google per esser certo di averlo scritto bene!): Molto notevole, divertente, colorato e interattivo. Si compone di tre sfere trasparenti, dentro cui il visitatore cammina e guarda, tocca, annusa. Molto scenografico. E anche le parti di collegamento meritano, se non altro per le aiuole di fiori hi-tech variopinti che si accendono se sfiorati con le mani. Non ve ne staccherete più!

Padiglione Kazakistan (qui ero un po’ più sicuro, ma ho controllato lo stesso): Bello fino a metà, strepitoso alla fine. Non so se svelarvi perchè… non ve lo svelo.

Padiglione Regno Unito: Esperienza sensoriale in mezzo ad api e uccellini. Detto così, verrebbe da pensare che è una figata. Non è così. E’ un giardino sopraelevato in cui si sentono i rumori che normalmente si sentono al parco. La parte bella è l’alveare metallico in cui si entra.

Padiglione Spagna: bottiglie appese al soffitto, rampe di legno lunghissime, piatti in tutte le pareti su cui proiettano immagini… le solite cose, insomma. Ah, e su un grande schermo il filmato del molleggiato che spreme l’uva ne “Il bisbetico domato”, audio compreso: davvero arduo non fermarsi a (ri)guardare.

Padiglione Italia: da fuori io lo trovo fantastico, ma si sa, de gustibus non est disputandum. Non sono entrato. Perchè? C’era una coda enorme (non facevano entrare in quel momento perchè aspettavano la delegazione del Turkmenistan – ah, questo l’ho controllato altrochè – con premier al seguito) e ancora troppo da vedere. Se ci torno, entro. Ma se ci torno, naturalmente, Murphy vuole che quel giorno ci saranno Obama e il Papa in visita.

Milano EXPO 2015 – Immagini

Ecco qui un’altra serie di immagini, scattate nei padiglioni del Belgio, Vietnam, Thailandia e Cina.

P.s. Le immagini del cantiere dell’EXPO, scattate il 7 Marzo scorso, le trovate invece qui e qui.